Dini: "Fuga dei giovani? Il trend è cambiato"

09.02.2017 09:39 di  Redazione FS24  Twitter:    vedi letture
Fonte: avv. Giulio Dini per tuttomercatoweb.com
Dini: "Fuga dei giovani? Il trend è cambiato"
© foto di wikipedia


 

Il calcio giovanile italiano ha temuto di essere terra di conquista delle ricche società estere, principalmente inglesi, che, nei primi anni duemila, hanno messo sotto contratto alcune promesse. Ricorderete senza dubbio Giuseppe Rossi, Lupoli, Dalla Bona.
Non si è mai trattato di un vero e proprio “rapimento” poiché allora – come adesso – la società di destinazione doveva versare al club dove aveva militato il ragazzo dai 12 anni in poi, un indennizzo, stabilito secondo parametri diffusi dalla FIFA a seconda della categoria di appartenenza della società di destinazione, per ogni stagione precedente quella di stipula del primo contratto professionistico.
Il presupposto perché si potesse ottenere le prestazioni del giovane calciatore – ora come allora – era la mancanza di un contratto professionistico. Si muovevano, quindi, giovani rispetto ai quali il club aveva ritenuto non indispensabile sottoscrivere un contratto.
La disciplina permette, infatti, ai club professionistici di mantenere un vincolo dai 14 anni alla fine della stagione sportiva in cui il giovane compie i 19 anni quando, unilateralmente, la società può mettere sotto contratto di addestramento il c.d. giovane di serie fino ad un massimo di tre anni dietro il riconoscimento di un compenso che, per la serie A, è di poco superiore ai mille euro netti mensili.
I club, quindi, preferivano il più delle volte aspettare e vedere effettivamente cosa avrebbe mostrato sul campo il giovane calciatore contro il rischio di perderlo dietro pagamento dell’indennizzo FIFA.
E’ pure il caso di Macheda, strappato alla Lazio di Lotito dal Manchester United, che, dopo un esordio assai promettente, si è perso un po’ per strada e recentemente si è vincolato al Novara in Serie B.
Non era, infatti, la certezza di una carriera da calciatore a spingere fuori dai confini ma piuttosto la possibilità di godere di un contratto da professionista.
I vincoli stabiliti dalla FIFA per il trasferimento degli under 18 sono molto stretti, comunque.
E’ necessario che sia la famiglia a trasferirsi per motivi indipendenti dal calcio, spesso per lavoro. In ambito UE, tra i 16 ed i 18 anni, i ragazzi possono anche trasferirsi a condizione che nel club di destinazione sia assicurata una formazione scolastica adeguata (tale da assicurare un futuro a prescindere dal calcio) ed una sistemazione abitativa consona (pensiamo ai celebri convitti).
Su ogni trasferimento, infatti, vigila una sottocommissione FIFA che istruisce la pratica e rilascia il nulla osta al rilascio del certificato di tesseramento internazionale, indispensabile ai calciatori per essere tesserati.
Le società che dovessero essere riconosciute colpevoli di aver violato il regolamento, vengono sottoposte a severe sanzioni: pensiamo al Barcellona, che si è visto inibire due sessioni di mercato.
Su scala mondiale il fenomeno di trasferimento all’estero è ancora molto rilevante. Nel 2016, nel mondo, si sono spostati 600 ragazzi di cui 200 tra i cinque principali campionati europei. Sono principalmente belgi, olandesi, svedesi, sloveni, brasiliani, francesi a muoversi e l’Inghilterra è ancora la destinazione preferita.
L’Italia non esporta più, anzi. E’ tra le principali importatrici di giovani promesse dall’estero.
Oggi, infatti, nei settori giovanili si tende a mettere sotto contratto più ragazzi. Si tratta di importi relativamente modesti che eliminano il rischio di perdere il calciatore e permettono di seguirlo con maggior calma. Questo è il motivo per cui gli italiani ora rimangono nel proprio Paese.
Si diventa “professionisti” rapidamente, con i 16 anni. Da qui ad avere una carriera da calciatore professionista, però, ce ne corre.