Lo Monaco: "Accordi Cotonou? Italia non è ancora pronta"

19.10.2014 17:43 di  Redazione FS24  Twitter:    vedi letture
Lo Monaco: "Accordi Cotonou? Italia non è ancora pronta"

Intervistato da Vincenzo Capano del portale campano Napolisoccer.NET, l'ex dirigente di Catania e Palermo, Pietro Lo Monaco ha parlato della convenzione di Cotonou e del tentativo di far diventare comunitari i calciatori africani? Lascerei stare le cose come stanno. Mi sembra fantasioso rendere comunitari i giocatori africani; a questo punto apriamo le frontiere e liberalizziamo tutto. Secondo me sarebbe un controsenso rendere comunitari questi giocatori stranieri  quando poi l'intero movimento calcistico italiano fa determinati discorsi sul potenziamento dei settori giovanili, sugli investimenti sui talenti nostrani ed altri discorsi simili. Se questo allargamento dovesse divenire effettivo si aprirebbe un "mondo" per le società ma non credo siano pronte ad utilizzare questa nuova eventualità. E' vero che il calcio ad alti livelli deve essere aperto a tutti, che non conosce bandiere, carte di identità e confini geografici ma attualmente in Italia non è ancora il momento di aprire le frontiere. Ora nel nostro campionato c'è bisogno di valorizzare i nostri giocatori e non quelli stranieri, diversamente la Nazionale continuerebbe a risentirne e ci esporremmo a figuracce in campo internazionale. A mio avviso non è un problema di talenti, perchè quelli abbondano. Il vero problema del calcio italiano è il sistema bacato che ruota dentro ed attorno a questo mondo e fin quando ci sarà questo tipo di sistema si proporrà sempre un prodotto non consono”.
 
Sui pochi italiani in campo nella sfida domenicale tra Inter e Napoli: “E’ il segnale chiaro di come stanno le cose. In Serie A bisogna avere una visione del calcio e dei giocatori a 360° andando a pescare giocatori anche nel mercato estero. Però tutte le società hanno anche il dovere di muovere il mercato parallelo dei giocatori italiani. Il Napoli ha un settore giovanile di buone qualità, dal quale però, eccetto Insigne, non sono mai usciti giocatori in grado di passare in prima squadra. In molte squadre non c’è un percorso, manca un progetto che guidi i giovani dalla primavera alla prima squadra, con tutti i benefici che ne conseguono, quali abbattimento dei costi, valorizzazione del prodotto locale, sensibilizzazione del giocatore dal punto di vista dell’emotività ecc. Mi sorprende più il fatto che in Italia non si badi a curare il settore giovanile piuttosto che ci sia un numero eccessivo di stranieri. Curare un settore giovanile non vuole dire fare solo i campionati di pertinenza, bensì programmare un progetto per ogni singolo calciatore, che deve culminare con il raggiungimento della prima squadra. In quest'ottica vanno creati calciatori. Se si arriva a metà e ci si ferma   vuol dire che la pianificazione è monca. Come ho detto prima, il problema dei nostri giocatori è che sono viziati dal nostro sistema, hanno i cosiddetti vizi dei sette porcelli che nel momento di difficoltà anziché tirare fuori il carattere li portano a deprimersi. Per questo dico che bisogna cambiare il sistema. Come prima cosa, bisogna scindere tra la figura dell’educatore e dell’allenatore: sono due cose diverse che non vanno assolutamente confuse. Talvolta gli educatori giocano a fare gli allenatori e questo è un male per un ragazzo. Un altro problema sono i procuratori, i ragazzini neppure nascono e già hanno il procuratore. Purtroppo, questa figura, negli ultimi anni, ha inciso tantissimo nel tessuto calcistico italiano. Infine, bisogna cambiare anche la mentalità dei genitori che, a tutti i costi, difendono i figli e sono disposti a tutto affinché giochino sempre. Questi, e altri problemi che non sto qui ad elencare, si traducono nel prodotto avariato che c’è nel calcio italiano”.