Marko Livaja, un giovane talento

03.11.2013 09:36 di  Redazione FS24  Twitter:    vedi letture
Fonte: Match Day Atalanta B.C. N° 5 - Ottobre 2013 - Atalanta-Inter
Marko Livaja, un giovane talento

Marko Livaja si racconta a trecentosessanta gradi, nel giorno in cui ritrova per la seconda volta da avversario la squadra che l’ha portato in Italia e che ne detiene ancora la metà del cartellino. L’Atalanta, l’Inter, ma anche gli inizi della sua carriera e le persone che hanno avuto un posto di riguardo nella sua vita. Perché dietro alla corazza che mostra in campo, c’è un ventenne che il calcio e la vita hanno fatto crescere in fretta, con tanti sogni ancora da realizzare e la voglia di far vedere tutte le doti che madre natura gli ha regalato. Un grande talento che all’Atalanta può esplodere in maniera definitiva.

Marko, arriva l’Inter: è la partita che senti di più?
“E’ una partita come tutte le altre, di sicuro molto importante in questo momento. L’Inter è una squadra destinata a fare un campionato diverso dal nostro, con Mazzarri che è arrivato quest’anno e vuole subito i risultati”.

All’Inter hai esordito in serie A, segnato in Europa, ti sei fatto conoscere in Italia. 
“Sono stato un anno con la Primavera, metà stagione con la prima squadra, abitavo in un appartamento in zona San Siro e all’Inter ho lasciato molti amici. Ho ricordi molto belli di quel periodo, ma ora sono giocatore dell’Atalanta, sono contento qui e devo dimostrare il mio valore a Bergamo”.

Ma il ricordo più bello qual è stato?
“Abbiamo vinto la Champions della Primavera, poi anche il campionato. Ho anche fatto 4 gol in Europa League. Ma siccome è più importante quando vinci qualcosa, dico la Champions Primavera vinta contro una squadra fortissima come l’Ajax. Tra l’altro ho notato che oggi quei ragazzi che avevamo battuto giocano quasi tutti in prima squadra, anche titolari”.

All’Inter chi toglieresti?
“Juan Jesus. E’ il secondo anno che gioca titolare, è un giocatore molto forte e tra l’altro è un mio amico. Ma mi picchia sempre (sorride, ndr). Anche Campagnaro non vorrei trovarmi di fronte. E davanti poi hanno Palacio, un fenomeno”.

Oltre a Juan, con chi avevi legato di più?
“Kovacic, ma anche Handanovic. Con Samir mi sento spesso”. 

E a Bergamo rientrerà dalla squalifica.
“Per noi sarebbe stato meglio se fosse ancora squalificato”.

Nello scorso campionato però gli avevate fatto un bello scherzo. E tu sei entrato e hai cambiato la partita. 
“Sul 3-1 pensavo fosse finita, poi si è riaperta con quel rigore e abbiamo vinto 4-3. Un gran bel ricordo, ma questa partita è finita. Pensiamo a quella che dobbiamo giocare. Io voglio giocare al meglio tutte le gare, poi nel calcio non sempre è possibile, una volta ci riesci, un’altra no”.

Però a San Siro, contro la tua ex squadra, avevi dimostrato oltre che di essere un giocatore con enormi potenzialità, anche di avere personalità e coraggio. Budan, che ti conosce bene, l’anno scorso parlando di te disse: “E’ coraggioso in campo e silenzioso fuori”. Ti rivedi in questo ritratto?
“In campo non voglio perdere, il coraggio penso non mi manchi. Ed è una cosa che ce l’hai o non ce l’hai. E’ qualcosa che ho dentro. Quanto al silenzioso… prima non parlavo tanto perché non conoscevo bene la lingua, adesso parlo meglio l’italiano. Ma quando vai in un nuovo paese e non conosci la lingua, stai in silenzio. Mi rivedo in Nica: anche io quando ero andato a Lugano e non conoscevo la lingua, andavo a mangiare coi miei compagni di squadra e stavo zitto. Ma in realtà io sono uno che parla tanto”. 

Tu sei un ragazzo forte di carattere e appunto coraggioso. Ma nella vita c’è qualcosa che ti fa veramente paura?
“Gli incidenti con la macchina. Però non è per questo che non ho ancora preso la patente. L’unico motivo è che non ho ancora avuto tempo di farla in Croazia. Così quando esco a Bergamo non mi sposto molto, vado in centro città a piedi con De Luca. Lui è come me, siamo diventati molto amici”.

Si racconta anche di grandi sfide alla Play con De Luca…
“E’ vero, siamo “malati”. Usiamo le nazionali: io prendo sempre il Brasile, lui l’Argentina”. 

E chi vince? 
“Devi parlare con Beppe, ti dirà lui chi vince…”.

A Bergamo come ti trovi?
“Mi piace molto, sia la città che tutto l’ambiente. Abito in centro, mi trovo bene. Poi mi piace quando i tifosi sono così caldi, mi piace vedere la curva piena. Per questo quando segno mi viene l’istinto di andare sotto la curva a esultare. Senza tifosi, si giocherebbe con un altro spirito. Sono contento di essere qui all’Atalanta. La società mi ha aiutato tanto.” 

Il presidente Percassi ha sempre speso parole importanti per te. E il dg Marino alla fine dello scorso campionato ha detto che si sarebbe preso cura lui della tua maturazione.
“Lui è molto importante per me, mi ha aiutato molto, mi ha portato qui, mi ha dato fiducia, mi parla e mi dà consigli”.

Nella tua vita c’è una persona in particolare a cui devi dire grazie? 
“Franko Bogdan, l’allenatore che mi ha portato a 8 anni in una squadra croata piccola di serie D, per tutto l’aiuto che mi ha dato. Mi faceva fare due, anche tre allenamenti al giorno. Lui mi ha portato anche in nazionale, mi ha aiutato tantissimo e per me è come un secondo padre. Anche adesso mi chiama sempre, sia quando le cose vanno bene che quando vanno male”.

L’amore per il pallone quando è sbocciato?
“Già a 4 anni. Giocavo in strada a Spalato con i miei amici. Un allenatore che abitava vicino a me mi ha visto, ha detto subito a mia mamma di portarmi all’allenamento. Lei diceva che ero troppo giovane, ma poi mi ha portato. Da bambino mi piacevano anche basket e tennis. La Croazia ha una buona tradizione in questi sport e io me la cavavo anche, però al massimo giocavo con gli amici. Così ho seguito la strada del calcio”.

Eppure a vederti giocare, hai anche colpi da giocatore di calcetto. 
“Ho sempre giocato a calcetto: tutti i miei amici ci giocano, mi piace perché si gioca in spazi stretti. Quando ho cominciato a giocare a calcio tra i professionisti in tanti mi hanno detto che ho dei colpi da giocatore da calcetto. Ma per me è normale, io non ci ho mai fatto caso perché io gioco nella stessa maniera, sia a calcio che a calcetto”.

Magari qualche colpo di calcetto te lo ha insegnato tuo papà Milan?
“Lui ha giocato tanti anni a calcetto in Croazia. Era anche bravo. E mi ha sempre dato tanti consigli”.

Oltre a te nella famiglia Livaja c’è anche suo fratello Mirko, due anni più piccolo di te, che gioca a calcio. Tra voi due chi è il più bravo?
“Non lo so (ride, ndr). Lui è ancora all’inizio, adesso è a Catania nella Primavera. Parliamo tanto, è contento di essere andato via dalla Croazia perché lì era difficile emergere. E’ un centrocampista, ha buona tecnica, buona visione di gioco. Un bel giocatore”.

Chi era il tuo idolo da bambino?
“Mi piaceva Ronaldinho, quando ero piccolo lui era il miglior giocatore al mondo, faceva dei colpi incredibili che mi hanno veramente impressionato. Ma non ho mai avuto un idolo vero e proprio. Ora per esempio mi piacciono Drogba e Ibra, a loro ruberei il tiro: calciano con una forza impressionante. Ibra adesso per me è la migliore prima punta del mondo”.

A Milano hai avuto la fortuna di poterti allenare con tanti altri campioni. Cosa ti è rimasto?
“Devo dire che mi ha aiutato molto allenarmi con certi campioni. Quando sei giovane pensi di essere il più forte di tutti. Invece lavorando con grandi giocatori ti accorgi che c’è sempre molto da imparare. Da Cassano a Milito, tutti mi hanno dato tanti consigli. Il “Principe” mi diceva cosa dovevo fare, come migliorare, mi ha aiutato veramente tanto. E io penso di aver preso qualcosa da ognuno di loro. Quando ti alleni ogni giorno con gente che ha vinto tutto, puoi solo migliorare”

C’è una partita che ti ricorderai per sempre?
“Ritorno agli anni in Croazia. Ho giocato tre anni nell’Hajduk. Mi ricorderò sempre una partita contro la Dinamo Zagabria, la nostra rivale principale nei campionati Under 21. Stavamo vincendo 2-1 in Zagabria e un nostro giocatore era rimasto a terra infortunato. Noi avevamo buttato fuori la palla, la partita era ormai finita. L’arbitro ha dato 7-8 minuti di recupero, loro hanno rigiocato subito la palla e abbiamo preso gol al 97’ e abbiamo perso lo scudetto. Questo è il calcio: bisogna giocare fino alla fine”.

Un ricordo positivo di una partita di quei tempi?
“Negli Allievi 3-4 volte è capitato di fare anche venti gol in una sola partita. Finivano 30-0 perché eravamo la squadra migliore in Croazia. Pensate che un anno ho fatto 120 gol in un solo campionato”.

Il momento più difficile invece della tua giovane carriera?
“Gli 8 mesi a Lugano senza poter giocare: mi allenavo e basta. Al massimo ho giocato 2-3 amichevoli. E’ bruttissimo vedere che tutti i tuoi compagni si preparano per giocare la partita e tu vai a casa e non puoi giocare. Poi ero giovane, avevo lasciato la Croazia a 17 anni. Per fortuna c’era la mia famiglia con me. E per fortuna fa ormai tutto parte del passato e non voglio più pensarci. Tutti hanno dei momenti di difficoltà, per me è stato in quel periodo ma ora sono tranquillo. Queste esperienze di sicuro ti rendono più forte”.

Il tuo obiettivo per quest’anno?
“Fare più gol possibili. Ho iniziato bene con due gol in coppa e uno al Parma. Ma la cosa più importante è che devo crescere ancora, perché sono giovane e devo ancora dimostrare di essere un giocatore da serie A, che può giocare titolare nell’Atalanta. Ora è un periodo in cui sto giocando meno, ma la cosa che più conta è che vada bene la squadra”.