Matrecano: "Ho fatto l'osservatore, voglio allenare"

Sin da giovanissimo ha dimostrato qualità importanti, vincendo l'Europeo Under 21 con la Nazionale italiana e dando il suo contributo alla conquista di due coppe europee durante gli anni trascorsi con la maglia del Parma; dopodichè, a Perugia, sotto la gestione Gaucci conGaleone allenatore, divenne il capitano di quella compagine che tanto faceva divertire in Serie A. Salvatore Matrecano, ex difensore centrale vecchio stampo con una buona carriera alle spalle, ha deciso di rimettersi in gioco nel mondo del calcio, in qualità di allenatore. Dopo aver vinto il campionato di eccellenza sulla panchina del Pretola nel 2004-05, fu chiamato l'anno dopo dal patron del Perugia Silvestrini per guidare la squadra Berretti, con la quale vinse lo Scudetto di categoria. In seguito, le esperienze poco confortanti sulla panchina della prima squadra umbra e quelle di Pontevecchio e Foligno hanno messo un pò in disparte l'ex difensore centrale, che sembra essere "uscito" dal giro del calcio, come si suol dire in gergo. In esclusiva ai microfoni di EuropaCalcio.it, Salvatore Matrecano ci racconta la sua voglia spudorata di tornare a sedere su una panchina di calcio, fare l'allenatore e cercare di trasmettere la sua esperienza ai giovani è la sua massima ambizione.
Salvatore, partiamo con una domanda amarcord. Qual è il ricordo più bello della tua carriera calcistica?
"Ho avuto dei bellissimi ricordi in tutto il mio periodo calcistico. Prendendo alcuni spunti dal fatto che ho iniziato con mister Zeman a 20 anni con il Foggia e avermi dato l'opportunità di giocare subito nel calcio che conta, per me fu una sensazione stupenda. I ricordi più belli sono forse quelli di aver marcato i migliori attaccanti al mondo, uno su tutti Marco Van Basten, o un campione di Italia '90 come Klinsmann, cosi anche campioni del calibro di Romario, Hugo Sanchez, Butragueno, solo per citarne alcuni. Ma il ricordo sicuramente più bello è aver vinto, a 22 anni, il Campionato d'Europa con l'Under 21".
Però, il tuo palmares vanta anche una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Uefa vinte con il Parma. Qual è il ricordo legato alla vittoria di queste due coppe importanti?
"L'esperienza più bella, che un ragazzo a 22 anni si ritrova in un mondo bellissimo, qual è il pianeta calcio, è aver giocato in quei periodi in una squadra come il Parma, soprannominata la "bella di notte". Era già una formazione super forte con giocatori del calibro di Grun, di Asprilla, di Zola, di Brolin, per dirne alcuni. Io ero appena arrivato dal Foggia e non conoscevo ancora l'ambiente e il pianeta internazionale. I ricordi più belli di quella esperienza sono le trasferte europee, ho girato praticamente tutto il continente con il Parma e, aver vinto queste coppe da giovanissimo mi ha dato una grande soddisfazione".
Sei natio di Napoli, hai anche giocato con la maglia azzurra nella stagione 1994-95 collezionando 17 presenze. Come valuti l'esperienza all'ombra del Vesuvio, anche se, come si dice, nemo propheta in patria...
"E' stato un periodo di alti e bassi. Aver firmato per il Napoli ed essere tornato nella mia città natale mi riempì di orgoglio in quegli anni. E' chiaro che, nemo propheta in patria, come giustamente detto prima, in quanto è difficile affermarsi a Napoli. Ci sono campioni del calibro di Ferrara e Fabio Cannavaro che hanno fatto grandissime cose nella loro città. Per me era un periodo un pò particolare, non stavo bene, tentavo di impegnarmi al massimo in un momento in cui il Napoli, nonostante facesse la Coppa Uefa, non mi dava grandi possibilità di giocare. Infatti, nella stagione successiva, passai all'Udinese di Zaccheroni e lì fu un pò di nuovo la mia rinascita calcisticamente parlando, anche se devo dire che, molto onestamente, a Napoli mi sono e, ogni qualvolta che torno, mi trovo sempre bene. Ho tentato di dare tutto me stesso per quanto potevo: ho avuto delle difficoltà anche per colpa mia, ma questo è un altro paio di maniche. Comunque i ricordi di Napoli sono e rimangono bellissimi".
Prima accennavi all'avventura di Udine con Zaccheroni, ma il vero culmine calcistico della tua carriera è stato a Perugia: sei stato lì per tre anni, ha giocato con campioni del calibro di Rapajc e Nakata. Come ti sei trovato? E' stata un'esperienza che ha rivalutato la tua carriera e anche aumentato la tua maturità in Serie A?
"Parlavo di rinascita calcistica nel momento in cui ci fu questa richiesta, nel '96, di Zaccheroni. Da gennaio a giugno nell'Udinese feci 20 presenze, da lì ho riniziato a giocare, a riprendere fiducia nei miei mezzi e in quel frangente a fine campionato, io ero sempre di proprietà del Parma, venne il Perugia, che era guidato da Galeone, che era fortemente interessato a me. Non ci pensai su due volte e accettai immediatamente perchè mi piaceva il progetto, poi conoscevo mister Galeone, il quale era amico dell'ambiente Udinese e ogni tanto veniva a vedermi al "Friuli". Da lì in poi diventai capitano, giocai con altri campioni: dopo Parma, sicuramente la più bella esperienza in assoluto in Serie A".
Dopo gli anni di Perugia andasti a giocare in Inghilterra, con la maglia del Nottinhgam Forest, anche se in First Division. Durante il primo anno, arrivò in prestito dal Chelsea un certo John Terry. Cosa ci puoi raccontare di quegli anni vissuti all'estero?
"Fu certamente un'esperienza bellissima inizialmente, ma purtroppo terminò con un brutto infortunio al ginocchio destro: mi ruppi il legamento durante la 14a partita e mi dovetti operare. Tornai in Italia e il recupero fu molto lungo. Nonostante tutto, furono anni indimenticabili. Durante la prima stagione, arrivò in prova un giovanissimo John Terry in prestito dal Chelsea, che poi è diventato il campione che tutti conosciamo. Sono stato molto bene lì, firmai addirittura un quadriennale, David Platt (allenatore del Nottingham dell'epoca, ndr) prese me, Mannini e Petrachi per tentare di far ritornare questa squadra nel calcio che contava. Rimarrà sempre nel mio cuore il fatto che tutte le persone di quel tempo che navigano nel mondo del calcio ancor'oggi mi chiamano, menomale che riesco ancora a ricordare qualche parola di inglese".
Nel 2001 sei tornato in Italia, esperienze al Benevento e alla Casertana poi, nel 2003, hai deciso di ritirarti dal calcio giocato. Cosa si prova in quel momento in cui decidi di dire basta?
"E' normale che, dopo aver investito tutta la mia vita nel mondo del calcio, ho iniziato a giocare a 16 anni, ho smesso a 33 proprio per questo problema al ginocchio, ma i ricordi sono belli e sono tantissimi. Non è stato forte l'impatto immediato, anche perchè avevo degli amici a Perugia, città dove vivo tutt'ora, che mi rimisero subito nel mondo del calcio: c'era una squadra del posto che militava in Eccellenza e mi chiesero se potevo dargli una mano in questo campionato. Lo feci cosi, non curante del futuro: presi il patentino di terza categoria nel 2004-05 immediatamente e mi misi a fare questa cosa pensando "beh, io questo so fare, voglio fare calcio, l'ho fatto per tutta la vita, se devo dare una mano allora gliela dò". Caso strano, nel mio primo anno di allenatore vinco il campionato di Eccellenza. Da lì, venne l'idea al presidente del Perugia, Silvestrini, di darmi la Berretti nazionale, quando in prima squadra allenava Cuccureddu: altro caso della vita, prendo la Berretti guidando dei giovani scalmanati e diventiamo Campioni d'Italia immediatamente. In due anni, un'altra volta, sembra che stia cambiando di nuovo il mondo: questo mestiere comincia a piacermi, vado a Coverciano, prendo il patentino da professionista, il Perugia mi dà l'occasione in prima squadra, poi vado via, a Foligno, sempre in C1. Dopodichè ho perso una pausa aspettando l'offerta giusta, ma in fondo non sapevo neanche io cosa volevo in quei momenti. Io sono un uomo di calcio, voglio fare calcio e mi piace fare calcio, quindi voglio rientrare in questo mondo perchè è una cosa che mi piace e che so fare, almeno credo, e quindi non voglio lasciare".
Dopo l'esperienza al Foligno, al Perugia nella Berretti e in prima squadra, Salvatore Matrecano è uscito un pò dal cosiddetto "giro". Cosa vuol fare Matrecano da grande? Cosa vuole Matrecano dal calcio? Qual è il suo futuro?
"Voglio dare la mia esperienza, progetto o non progetto che sia. Credo di avere, senza presunzione, delle qualità. Ho la possibilità, come tanti o pochi, di allenare e dare una mano ai giovani, magari crescerli: anche perchè, in questo frangente di un anno e mezzo, non mi sono mai completamente allontanato dal calcio. Ho collaborato con Riccardo Mazzola, talent scout per le squadre di Serie A, in pratica il sabato e la domenica andavo a vedere le partite della primavera, della C1, insomma svariavo per l'Italia, il weekend per me era terra di conquista nel senso che mi davano degli incarichi, ovvero andare a vedere dei giovani, cercare dei giovani migliori: una mattina, però, mi sono accorto che quello non era il mio mestiere, non ero felice, non ero contento, io devo stare dentro al campo, a me questo interessa, questo preme e questo piace. Spero di rientrare, di riavere la possibilità, una chance, di avere un progetto e iniziare alla grande questo fantastico mestiere".