I minuti di gioco ed il dilemma del Mister: equità o meritocrazia?

28.06.2017 10:39 di  Redazione FS24  Twitter:    vedi letture
Fonte: Dr Facio Ciuffini - www.calcioscouting.com
I minuti di gioco ed il dilemma del Mister: equità o meritocrazia?
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Jacopo Duranti/TuttoLegaPro.com

In determinate categorie, ma anche in base ai vari tornei giovanili disputati, i regolamenti e le “prassi” stimolano/obbligano un allenatore a distribuire in modo tendenzialmente equo la partecipazione di tutti i suoi giovani calciatori alle partite: il tema, tanto per capirsi, è quello dei minuti di gioco!

Tuttavia, un po’ per la cultura del risultato, un po’ per la filosofia educativa del mister, non sempre ciò si verifica in modo lineare e simmetrico, generando attriti con mamme e papà indispettiti per lo scarso impiego del proprio figlio.

Un problema che si evidenzia maggiormente quando i ragazzi crescono e il livello di competitività impone poi di avvicinarsi gradualmente alle regole classiche di una partita di calcio, che, di fatto, richiedono delle scelte su chi gioca titolare, chi entra in corsa e chi, invece, è destinato a restare seduto in panchina, generando spesso una migrazione verso nuove società.

Dunque qual’è il principio giusto, quello dell’equità o quello della meritocrazia stabilita dal mister?

Le aspettative di un bambino piccolo, sono basate non certo sul risultato, ma sulla partecipazione alle attività della propria squadra, il che costituisce una forma di strutturazione e maturazione della propria identità personale e sociale. In questo senso, I minuti di gioco sono per lui molto importanti.

Se un allenatore condivide e fa propri i principi dell’irrilevanza complessiva del risultato di gioco, favorendo invece il divertimento e l’integrazione tra i ragazzi, va da sé che incorrerà in modo meno frequente alle critiche di un genitore deluso dal fatto che suo figlio ha giocato pochissimo (“Ma come, abbiamo fatto 50 km di domenica per portarlo a giocare e lo fai giocare solo 5 minuti?).

Tuttavia, ciascun allenatore, come è giusto che sia, segue i propri principi educativi generali che possono anche divergere notevolmente tra un mister ed un altro nella loro applicazione pratica. Ad esempio, parallelamente alla crescita anagrafica dei ragazzi,  un tecnico potrebbe premiare quei bambini o quei ragazzi che si sono allenati con maggior partecipazione ed impegno, oppure potrebbe prediligere un dosaggio delle energie dei suoi ragazzi in base alle sue valutazioni personali circa lo stato di partecipazione emotiva alla partita o allo stato di salute dei suoi giocatori da lui dedotti sul campo.

Tutti fattori che difficilmente si possono vedere dall’esterno e che fanno parte delle regole interne di una società o di un gruppo di lavoro.

Ciò che stupisce, spesso, è il fatto che molti genitori non sanno, quando iscrivono un bambino in una scuola calcio, quale sia:

l’atteggiamento dell’allenatore ed in che modo egli stabilisca chi gioca di più e chi gioca di meno

quale sia la filosofia di lavoro di una società ed il grado di partecipazione richiesto

quali sono i principi alla base del lavoro tecnico ed educativo

Come viene gestito un periodo nel quale un bambino si sente poco integrato nel gruppo o desidera giocare di più

Quali sono i criteri di scelta nelle convocazioni (il numero di allenamenti? Le partite disputate? La lontananza della famiglia dalla sede della partita? Il rendimento scolastico? La qualità tecnica dei giocatori?)

In definitiva, è difficile dire con certezza cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, ma è senza dubbio possibile stabilire cosa sia più o meno adatto alle proprie prerogative di genitore. Se un padre ed una madre ritengono giusto che il figlio giochi sempre perché lo sport è un’attività ludica di svago e di natura distraente rispetto a gravosi impegni scolastici, sarà difficile ipotizzare che venga accettato un allenatore che educa per pura meritocrazia soggettiva, perché ciò espone al rischio che un figlio possa anche non giocare sempre.

Al contrario, se una famiglia ritiene che quest’ultimo debba imparare a sacrificarsi per ottenere dei risultati in campo, storcerà la bocca davanti ad un allenatore che gestisce il tempo in modo equo indipendentemente dall’impegno.

Per questo motivo, parlare e confrontarsi con i dirigenti di una società e con un allenatore prima di iscrivere un figlio in una scuola calcio o comunque all’inizio di una stagione sportiva, diventa spesso molto importante al fine di porsi in una prospettiva condivisa di educazione che aiuti anche il ragazzo durante l’anno a rispondere positivamente agli allenamenti ed all’attività sportiva generale.

Principi, questi, utili anche all’allenatore, che potrebbe beneficiare di una conoscenza più precisa e consapevole delle aspettative delle famiglie nei suoi confronti, acquisendo nel tempo, ove necessario, quella competenza ed esperienza anche di tipo comunicativo utile a gestire eventuali momenti di dialogo e confronto che, spesso, si traducono ancora oggi in incomprensioni spesso siderali sia con le famiglie che con i ragazzi coinvolti nelle scelte.